2 gennaio 1960, ci lasciava F. Coppi così lo ricordava  Venturelli.

Da un articolo comparso su La Gazzetta dello Sport.

Fausto Coppi, Trofeo Laigueglia
Foto Courtesy: Archivio TLS, foto tratta dal libretto ufficiale del Trofeo Laigueglia 1966 dove a piena pagina ricorda affettuosamente Fausto Coppi.

PAVULLO (Modena), 2 gennaio 2009 - Quarantanove anni fa, all’Ospedale di Tortona (Alessandria), moriva Fausto Coppi. Oggi, a Castellania (Alessandria), dove il Campionissimo era nato nel 1919, si celebra una messa in suo ricordo. E moltissimi lo ricordano. Fra loro c’è Romeo Venturelli, che proprio Coppi aveva eletto suo erede forse già nella Milano-Vignola del 1956. Fausto Coppi fora poco prima dell’arrivo. Gli altri se la danno a gambe, lui rimane a piedi. Gli si affianca una macchina, quella dell’Unione sportiva Pavullese. "Signor Fausto, ha bisogno?". Lui va dentro, la bici sul tetto. E via, al traguardo. Chi siete, che cosa fate, avete dei ragazzi in gamba?, chiede Coppi. Ma sì, uno in particolare, gli risponde Trento Montanini, direttore sportivo: si chiama Romeo Venturelli.


Venturelli, ricorda il primo incontro con Coppi? 
"A Sanremo, Gp d’Apertura, marzo 1957. Mi aspettano su una salita. Ci arrivo fra gli ultimi. Montanini rotea un tubolare e mi minaccia. Inseguo, recupero, riporto il gruppo quasi sui primi tre in fuga. Poi mi rialzo. Faccio così un paio di volte. Alla fine i tre arrivano in fondo e io faccio quarto. Montanini mi chiede perché non li ho raggiunti. Gli dico la verità: avevo voglia di vincere, non per distacco, ma con una volata di gruppo".

Poi? 
"Nel 1958 Coppi m’invita una settimana a Novi Ligure per allenarci insieme. Devo preparare la Modena-Pavullo a cronometro, che per me vale più di un Mondiale. Biagio Cavanna mi massaggia: 'Questo ha i muscoli per diventare un campione'. Pedaliamo sulle strade di Coppi: Sassello, Scoffera, Giovi... Una volta gli chiedo se ha qualcosa da farmi mangiare. Siamo in discesa, viaggiamo a 70 all’ora. Lui stringe il telaio con le gambe, fruga nelle tasche, mi allunga un panino. Poi a Montanini domanderà: 'Ma 'sto disgraziato va sempre così forte in discesa?'".

Risposta? 
"La verità: anche di più. Coppi si affeziona a me e alla Pavullese. Quello stesso anno, al Giro dell’Emilia, Montanini manda uno dei nostri, Benedetto Benedetti, a chiedere a Coppi, in albergo, se ha bisogno di qualcosa. La Dama Bianca non permette che Coppi sia 'disturbato'. Poi Benedetti viene richiamato dal portiere e fatto salire in camera. Coppi chiede di preparargli due borracce con caffè, miele e biscotti Plasmon, e di farsele consegnare da me, su una certa salita. Un giorno ci arrivano sei bici Bianchi. La sua ricompensa".

Com’era Coppi? 
"Si raccomandava: vita da corridore. Diceva: 'Ho avuto tanti incidenti, ma l’importante è insistere'. Predicava minestroni e frullati, pesce e carne ai ferri sì, salumi no, tanta verdura e frutta, allenamenti quotidiani e duri, molto riposo, poco o niente donne. In bici, mi diceva di usare rapporti più leggeri, altrimenti mi avrebbero spaccato le gambe. Invece a me piaceva esagerare. Prima di una corsa ero capace di mangiare un’intera forma di formaggio da fossa. Una volta Coppi mi sgridò perché mi ero tuffato su zampone e fagioloni: 'Che sia l’ultima volta!'. Quanto a donne e motori, mi era difficile resistere. Per questo Coppi aveva pregato Montanini: 'Romeo ha bisogno di voi, stategli vicino'".

Eppure la considerava il suo erede. 
"Nel luglio 1959 Fausto passa una settimana a Pavullo: mangia con noi, si allena con noi, dorme all'albergo Speranza. In una corsa nel Vicentino mi segue perfino sull’ammiraglia. Alla fine dell’anno non aspetto l’Olimpiade di Roma e passo professionista. Nella San Pellegrino. Direttore sportivo Gino Bartali, capitano Coppi, io - diciamo - vice. Coppi ha 40 anni, io 21".

Invece? 
"In dicembre Fausto va in Africa. Quando torna a Milano, passo a prenderlo all’Hotel Andreola e lo riporto a casa sulla mia 1100 Fiat nuova. Coppi non faceva che ripetermi di andare piano: quel giorno, niente. Centocinquanta all’ora su strade statali, lui neanche una parola. Sta già male. Entriamo nella villa, mi chiede di fermarmi a cena: dobbiamo parlare della prossima stagione. Ma la Dama Bianca lo tratta male, lo rimprovera di essersi ammalato, chissà come. Soffro per Coppi. Dopo il primo, chiedo scusa, mi alzo e me ne vado. Non lo rivedrò più".

Cioè? 
"Il 2 gennaio 1960 sono a Pavullo. Alla radio sento che Coppi è morto. Scoppio a piangere. Vado al funerale. Una marea di gente, che neanche ci sta sulla collina. Se Fausto non fosse morto, la mia vita sarebbe stata diversa. Più regolare, più vincente, più ricca. Migliore".

dal nostro inviato Marco Pastonesi